Apple potrebbe tornare ad Intel. Non parliamo di chip ingegnerizzati dalla casa americana, ma di sfruttare le linee di produzione per sfornare chip serie della M: è questa la notizia riportata in un tweet dall’analista Ming-Chi Kuo, una indiscrezione che apre scenari interessanti dal punto di vista delle strategie industriali e anche sotto il profilo politico.
L’indiscrezione di un “ritorno di fiamma” tra Cupertino e Intel non è nuova ma qualche dettaglio aggiuntivo arriva Kuo su X — citando sue fonti nella supply chain — fornendo notizie aggiuntive che offrono un quadro che permette di avere un’orizzonte migliore delle mosse che Apple sta mettendo in atto e anche di comprenderne pienamente il senso.
Apple al momento ha accordi con TSMC per la produzione di chip per iPhone, iPad e Mac. In pratica tutti i dispositivi Apple sfruttano le linee di produzione dell’azienda di Taiwan per far funzionare i dispositivi della Mela. Si tratta di un quadro non corrispondente alle abitudini di Apple che preferisce sempre avere più fornitori per le stesse componenti, sia per ragioni di prezzo sia per questioni di volumi che di rischio geopolitici.
TSMC resta insostituibile per i processi di punta, ma la distribuzione di parte della produzione permettebbe a Cupertino di gestire meglio eventuali colli di bottiglia, variazioni di resa o tensioni geopolitiche.
Ora questo scenario, anche se in termini molti limitati, potrebbe essere applicato anche ai processori. In base alle informazioni di Kuo, Apple e Intel hanno mosso i primi passi, firmando un accordo di riservatezza per l’acquisto del PDK 0.9.1GA relativo al nodo produttivo avanzato 18AP (fondamentale per simulazioni e validazioni preliminari) e Cupertino sarebbe in attesa del kit PDK 1.0/1.1, previsto per il 2026.
Quando Apple avrà accesso a quest’ultimo kit sarà possibile finalizzare i lavori che dovrebbero portare alla progettazione della produzione e, se tutto procederà senza intoppi, ottenere i primi chip per il secondo o terzo trimestre del 2027.
In pratica, Apple starebbe preparando il terreno perché una parte dei futuri chip serie M “entry level” – quelli che oggi equipaggiano soprattutto MacBook Air e iPad Pro – possa essere prodotta anche nelle fonderie Intel basate sul nodo 18AP, mantenendo però TSMC come fornitore centrale per i nodi più avanzati e per i volumi maggiori. Una mossa che non sostituisce la partnership storica con il gigante taiwanese, ma apre la strada a una vera seconda fonte per i chip di fascia più bassa.
Come accennato, il nodo di Intel che avrebbe stuzzicato l’interesse di Apple è il 18AP, quello che dovrebbe essere una versione ancora più avanzata del 18A, che promette ottimizzazioni per le prestazioni con un incremento del 10% rispetto alla versione standard.

“Made in USA” per la gioia di Trump
Non ci sarebbero solo ragioni produttive dietro alla mossa di Apple. Secondo Kuo, un accordo con Intel permetterebbe a Apple di dimostrare all’amministrazione Trump la volontà di “acquistare materiale statunitense”, indirizzando la sua catena di fornitura anche verso aziende americane, una diversificazione degli approvvigionamenti, senza ovviamente rinunciare ai nodi avanzati di TSMC.
Gli Stati Uniti stanno spingendo da anni per riportare sul suolo americano la produzione di semiconduttori. Il governo ha stanziato miliardi attraverso il CHIPS and Science Act per finanziare la costruzione o l’espansione di fabbriche Intel in Arizona, Ohio, Oregon e New Mexico.
Una parte di questi fondi è stata convertita in una partecipazione statale nel capitale Intel, che oggi vede Washington tra gli investitori rilevanti dell’azienda. È un segnale politico che si traduce in pressioni dirette sulle grandi aziende statunitensi perché sostengano la filiera nazionale: in questo quadro, Apple che ordina chip prodotti negli USA da una Intel finanziata con denaro pubblico diventerebbe un esempio perfetto da spendere sul piano politico.
Per Intel, l’accordo potrebbe indicare che le difficoltà fin qui riscontrate sono state superate: riuscire a convincere Apple della bontà delle fonderie dell’azienda di Santa Clara potrebbe inoltre servire da mega spot per convincere anche altri ad affidarsi ai suoi servizi.
A settembre di quest’anno era circolata una voce secondo la quale Intel avrebbe chiesto a Apple di investire nell’azienda di Santa Clara.
Poco rilevante nei volumi, molto rilevante nello scenario globale
Dal punto di vista economico immediato, succede relativamente poco: i chip M di fascia bassa pesano, ma non valgono quanto le linee Pro o gli A-series nei volumi globali. Per TSMC l’impatto sarebbe minimo, e Apple continuerebbe a dipendere dal gigante taiwanese per tutto ciò che conta davvero.
Ma sul piano strategico questo è un passaggio notevole: apre a una collaborazione che potrebbe ampliarsi in futuro verso nodi più avanzati, rafforza politicamente Intel, risponde alle pressioni della Casa Bianca e offre ad Apple una nuova leva nella gestione della propria catena di approvvigionamento.
Un movimento che sposta poco nelle cifre, ma molto nella geografia del potere industriale tra Apple, TSMC, Intel e gli Stati Uniti.
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