L’intelligenza artificiale ha creato una generazione che non conosce la fatica dell’attesa. Se ci pensate, è come la storia del genio nella lampada. I giovani di oggi crescono con dispositivi capaci di esaudire istantaneamente quasi ogni desiderio: compiti svolti in pochi secondi, contenuti generati su misura, conversazioni che non deludono mai. Questa trasformazione non riguarda solo il nostro rapporto con la tecnologia, ma sta rimodellando il significato stesso dell’essere creativi e, di conseguenza, dell’essere umani.
Il passaggio da una cultura della conquista faticosa, nella quale i muscoli si formano e i legami tra i neuroni si infittiscono grazie allo sforzo per superare gli ostacoli, a una della gratificazione immediata non è un semplice cambiamento di abitudini: è una rivoluzione antropologica.
L’intelligenza artificiale gioca un ruolo centrale in questo. Però non ci sbagliamo: come al solito la tecnologia di per sé vuol dire poco: è il modo con il quale viene modellizzata e portata sul mercato e nella società, con quali regole e quali funzioni abilitate (e quali rimosse) a fare la differenza.
Per questo possiamo dire che la scuola e l’università stanno diventando i primi campi di battaglia di questa trasformazione. Professori cresciuti in un’epoca diversa cercano ancora di tenere a freno gli studenti che invece si affidano all’IA per scrivere relazioni, fare presentazioni, preparare compiti e mappe mentali. Tuttavia, non temete: questa resistenza è destinata a durare poco. Quando anche la maggioranza degli educatori sarà cresciuta nella stessa cultura del “desiderio esaudito”, le regole cambieranno definitivamente.
Il dramma della scuola (e dell’università)
Non ci vuole molto perché gli studenti si trovino in un contesto diverso, in cui non impareranno più a sviluppare un proprio orecchio critico per valutare un testo, ma diventeranno maestri nel perfezionare il tono delle loro richieste all’intelligenza artificiale. La creatività si trasformerà in una questione di formulazione di desideri sempre più credibili e sofisticati.
Aiuta ad accelerare questo percorso anche la sublime ignoranza delle autorità, che costruiscono piani e progetti basati sull’incapacità di comprendere prima ancora che di dominare il nuovo: l’intelligenza artificiale è nelle linee guida delle circolari ministeriali e nei piani dei governi italiani ed europei (ma non solo), ma dire che è stata capita poco è un eufemismo. Anzi, dire che è stata decisamente fraintesa è un truismo, anche se questo è materiale per un altro articolo.
Invece, restando al tema qui presentato, possiamo notare che questa nuova generazione ha un’ulteriore differenza rispetto a chi li precede. Ovverosia, non avrà mai sperimentato il rifiuto intellettuale o l’indifferenza verso le proprie idee. Ogni conversazione con l’IA è progettata per essere interessante e coinvolgente, ogni contenuto generato è su misura per le preferenze individuali. Non a caso sempre più persone giovani e meno giovani trovano nell’IA un compagno, un confessore, un terapeuta, un amico.
Il risultato è un’esperienza di dipendenza dalla validazione costante che nessun partner umano potrebbe mai garantire in modo così incondizionato. Ma cosa succede quando la realizzazione di tutti i desideri lascia un senso di vuoto? Quali strade rimangono aperte quando la gratificazione istantanea perde il suo sapore?

Il lusso della difficoltà artificiale
La risposta della società si sta già delineando lungo tre direttrici principali. La prima è quella della decadenza aristocratica: chi avrà abbastanza denaro potrà permettersi terapeuti umani, cinema con attori reali, esperienze “autentiche” che diventeranno beni di lusso. È lo stesso meccanismo che conosciamo studiando i super-ricchi di oggi, ma applicato a una scala completamente diversa. L’autenticità umana diventerà un privilegio di classe, mentre il resto della popolazione si accontenterà di relazioni e contenuti generati artificialmente.
La seconda strada è quella delle comunità separatiste che creano artificialmente difficoltà e ostacoli. Piccoli gruppi che si incontrano segretamente per sperimentare attività “primitive” come fare la fila, aspettare, faticare per ottenere qualcosa. Queste comunità potrebbero assomigliare ai vecchi club sportivi o assumere caratteristiche settarie, unite dal bisogno condiviso di riscoprire il valore dell’attesa e dello sforzo.
Un esempio? Certo: la gente che fa gare di bicicletta con velocipedi del secolo scorso, oppure che scatta fotografie con la pellicola, o che ascolta la musica con il giradischi, e cose del genere. L’obiettivo non sarà raggiungere un risultato, ma semplicemente vivere l’esperienza agonizzante di non averlo subito. Quello che oggi è gratuito e naturale, domani potrebbe diventare un lusso clandestino.
La terza via è il senso di colpa
Ma è la terza strada quella più probabile e insidiosa: il senso di colpa come nuovo principio organizzatore dell’esistenza. Quando tutti i desideri diventano realizzabili senza sforzo, il senso di colpa emerge come l’unico elemento capace di restituire peso e significato alle scelte individuali. Non è un caso che il senso di colpa sia anche il mezzo più potente per legare una persona a un prodotto: ciò che si ama ma di cui ci si vergogna cresce potentemente nella mente e si attacca alla personalità. Pagare 12mila euro per un Rolex o, se è per questo, duemila per un iPhone, funziona in maniera controintuitiva proprio grazie al senso di colpa.
Più uno si sente in colpa per aver speso tanto, più ha bisogno di giustificare l’acquisto, più il prodotto diventa centrale nella sua vita. È come se il senso di colpa “sposasse” la persona al marchio. Insomma, il brand fa sentire simultaneamente speciali (per averlo scelto) e in colpa (per averlo pagato tanto), creando una dipendenza emotiva fortissima.
Questo meccanismo psicologico diventerà la chiave di volta del controllo sociale nell’era dell’AI. In che modo? Ad esempio, con la colpa ecologica, che rappresenta il primo e più evidente esempio di questo fenomeno. L’enorme spreco di risorse naturali ed energetiche causato dall’uso dell’intelligenza artificiale viene scaricato direttamente sugli individui, che si assumono la responsabilità di limitarsi e punirsi nella vita quotidiana.
Le grandi multinazionali tecnologiche e gli Stati vedono così trasferita su ogni singolo utente la responsabilità per i danni collettivi del sistema. Ogni mattina, milioni di persone si svegliano con la certezza che ogni minimo desiderio, ogni piccola richiesta all’IA, danneggerà “il pianeta”, “la società” o “il futuro”. Cosa che rende tutto più tremendo e al tempo stesso più prezioso, in un mondo in cui è tutto “facile” e quindi diventa molto difficile stabilire i valori.

La trappola della salvezza individuale
Infatti, questo sistema di colpa vicaria funziona perché offre un ruolo gratificante: quello del salvatore che combatte una battaglia eterna contro se stesso. Il senso di colpa restituisce alla vita il sapore perduto del sacrificio e della contraddizione interiore, elementi che l’intelligenza artificiale sta apparentemente eliminando. Ma è una trappola sofisticata: mentre le persone si concentrano sulle proprie rinunce personali, perdono di vista i meccanismi sistemici che hanno creato il problema. La responsabilità individuale diventa un diversivo che impedisce l’azione collettiva.
Il paradosso, se questo ragionamento ha senso, diventa chiaro: una tecnologia nata per liberare l’umanità dai vincoli materiali e temporali finisce per creare nuove forme di controllo psicologico. L’intelligenza artificiale promette di esaudire ogni desiderio, ma il prezzo di questa promessa è la rinuncia alla libertà di scegliere autonomamente cosa desiderare e quando. Le generazioni future non avranno più la possibilità di rispondere personalmente alle domande fondamentali dell’esistenza: come crescere, come trovare il proprio posto nella vita, cosa trasmettere ai propri figli. Sapranno solo leggere le risposte.
Come dicevamo al principio, e come abbiamo ripetuto spesso in passato, la sfida vera non è tecnologica ma culturale: come mantenere la capacità di desiderare autenticamente in un mondo che può esaudire artificialmente ogni desiderio? Come preservare il senso del limite e della fatica in una società della gratificazione immediata?
La risposta non sta nel rifiutare la tecnologia, ma nel riconoscere che l’intelligenza artificiale è uno strumento di potere che richiede nuove forme di resistenza e consapevolezza. Solo comprendendo questi meccanismi sarà possibile evitare che la “generazione dei desideri esauditi” diventi anche la generazione della libertà perduta.
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