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La Polizia del Galles dotata di un’app per il riconoscimento dei volti

La Polizia del Galles sta sfruttando telefoni e un’app per il riconoscimento dei volti per confermare l’identità di persone fermate.

L’app, nota come “Operator Initiated Facial Recognition” (OIFR), è stata già testata da 70 agenti nel Galles del Sud e sarà usata da altri ancora, anche nella contea di Gwent (nel sud-est del Paese).

Come è facile immaginare, l’uso di questa app solleva dubbi relativi alla violazione di diritti umani, scrive la BBC. La Polizia ha riferito che l’uso è previsto per persone prive di sensi o decedute, consentendo la loro veloce identificazione, e raggiungere le rispettive famiglie, in modo che se ne possano prendere cura.

Nei casi in cui qualcuno è ricercato per reati gravi, le forze dell’ordine riferiscono che il sistema di identificazione consente arresto e detenzione veloce.

La Polizia sottolinea ancora che casi di errata identificazione, potrebbero essere facilmente risolti, senza bisogno di recarsi nella centrale di polizia o lasciare i fermati nelle “custody suite” (aree nelle stazioni di polizia per la detenzione).

A detta della Polizia, le foto scattate con l’app non sono conservate, e quelle scattate in luoghi privati quali case, scuole, strutture mediche ed edifici di culto, sono utilizzabili solo quando vi sono possibili gravi rischi.

Liberty, gruppo per le libertà civili, esorta il governo a nuove misure per la protezione della privacy. L’uso di diffuso ed errato di tecnologie di riconoscimento facciale può comportare rischi per la salvaguardia dei diritti umani, interferendo con il diritto alla protezione dei dati personali, nonché all’esplicito consenso degli individui di fronte all’impiego di tali strumenti. Chi solleva dubbi in merito all’uso di queste tecnologie, sottolinea possibili usi per secondi fini: ad esempio identificazioni di chi protesta, di dissidenti politici o altri metodi di sorveglianza di massa, elementi che possono pregiudicare il diritto alla libertà di associazione e manifestazione del pensiero, scoraggiando i cittadini dal prendere parte a determinati eventi ed esprimere la propria opinione, per evitare che i propri dati sensibili vengano, non volontariamente, inseriti all’interno di database a disposizione delle autorità.

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