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OpenAI e Perplexity sfidano Chrome, il Web non sarà più lo stesso

La centralità di Chrome come strumento privilegiato di accesso ai contenuti Internet per il 70% della popolazione mondiale è sotto attacco. Google è sotto attacco. L’evidenza che il pilastro dell’azienda che ha contribuito a trasformare il Web stia affrontando il rischio più serio della sua storia è nella notizia che OpenAI e Perplexity si stanno muovendo per rivoluzionare l’esperienza di fruizione della rete con due loro browser proprietari.

Perplexity lancia Comet

L’azione più concreta ed immediata arriva da Perplexity AI, che ha annunciato ieri il lancio di Comet, un browser AI pensato per sostituire la navigazione tradizionale con un’esperienza conversazionale e operativa.

Perplexity, finanziata da colossi come Nvidia, Jeff Bezos e SoftBank, e nel mirino per una acquisizione anche da parte di Apple, è estremamente credibile nel suo tentativo di sfidare direttamente Chrome, Edge, Firefox e Safari. Basta leggere che cosa fa e come opera Comet, che si propone come un vero sistema operativo fondato sull’intelligenza artificiale.

La sua struttura è basata su due elementi: da un lato c’è il motore di ricerca AI di Perplexity, preinstallato e predefinito, che genera riassunti conversazionali dei risultati anziché link tradizionali. Dall’altro c’è il Comet Assistant, un agente AI sempre attivo nel browser, capace di affiancare l’utente ed eseguire attività ripetitive direttamente sulla pagina web.

Apple sta valutando l'acquisizione di Perplexity AI - macitynet.it
Apple sta valutando l’acquisizione di Perplexity AI

Con un sistema a “sidecar”, l’utente può aprire una finestra laterale che permette all’assistente di vedere in tempo reale cosa c’è nella pagina e rispondere o agire di conseguenza. L’assistente può riassumere email e calendari, gestire le schede aperte, rispondere a contenuti sui social o nei video YouTube, persino compilare moduli nei siti che si stanno visitando.

Per usare tutte le funzioni del browser serve concedere a Perplexity ampi permessi di accesso — compresi email, contatti e calendario Google — un dettaglio che può far storcere il naso agli utenti più attenti alla privacy. A sua difesa, Comet non salva i dati nel cloud e non li usa per addestrare modelli, un punto che lo distingue nettamente da molti concorrenti.

Il lancio è riservato inizialmente agli utenti del piano Perplexity Max (200 dollari al mese) e a un gruppo ristretto di utenti selezionati tramite una lista d’attesa.

La mossa di OpenAI

Secondo un’esclusiva Reuters, anche OpenAI si prepara a lanciare un proprio browser basato su intelligenza artificiale, costruito su Chromium, lo stesso motore open source alla base di Google Chrome. Il debutto sarebbe previsto nelle prossime settimane, ma alcune caratteristiche sono già emerse e da esse si comprende che i concorrenti sono proprio Comet ma anche Chrome.

Con un’interfaccia simile a ChatGPT, il browser, proprio come Comet, eviterà il classico click-through tra siti: molte risposte e interazioni avverranno direttamente dentro la chat. Attraverso l’integrazione con AI agent come Operator, potrà prenotare, riempire moduli o eseguire azioni online per conto dell’utente.

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Il browser darà all’azienda guidata da Sam Altman accesso diretto al comportamento online degli utenti, un punto cruciale per contrastare il dominio di Google nella raccolta dati cancellando la dipendenza da Google Search.

Curiosamente, OpenAI avrebbe anche valutato l’acquisizione di Chrome, nel caso in cui l’antitrust statunitense obbligasse Google alla vendita. Intanto, ha già assunto due ex dirigenti di Google che avevano lavorato al progetto originario di Chrome.

Il web sotto attacco

Dietro questa corsa dell’intelligenza artificiale dentro i browser si agita una questione molto più ampia: da dove arrivano le informazioni che queste AI elaborano? Se OpenAI, Perplexity, e anche Google che sta integrando Gemini dentro a Chrome e cercando di diventare l’interfaccia primaria per accedere al web, allora si apre un confronto inevitabile con chi quei contenuti li produce.

Negli ultimi mesi, testate storiche e gruppi editoriali hanno denunciato l’utilizzo non autorizzato dei propri articoli e materiali per addestrare modelli di AI. The New York Times ha fatto causa a OpenAI e Microsoft per violazione del copyright. Forbes e News Corp hanno accusato Perplexity di scraping massivo.

Getty Images ha portato in tribunale Stability AI per l’uso illegittimo di milioni di immagini. E la Authors Guild ha chiamato in causa OpenAI a nome di autori come George R.R. Martin e John Grisham, sostenendo che intere opere letterarie sono state assorbite dai modelli linguistici senza permesso né compenso.

Ma il problema non riguarda solo i grandi nomi. Ci sono centinaia di milioni di siti più piccoli — blog, testate locali, forum, micro-editori, progetti indipendenti — che da anni arricchiscono il web con contenuti originali, approfondimenti, recensioni, guide, inchieste, storie. Gran parte di questi contenuti viene sfruttata dall’AI per costruire risposte, dialoghi, riassunti, senza che i creatori ne sappiano nulla e senza che ricevano alcun riconoscimento e senza che possano, in definitiva, fare nulla per impedirlo.

Una operazione che Google sta facendo da molto tempo, in maniera molto aggressiva per alimentare le sue sintesi che appaiono alla testa di ogni ricerca sul suo motore di search.

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In gioco, in definitiva, c’è la qualità dei contenuti. Questi grandi, ma anche piccoli attori del web servono a rendere le AI più intelligenti e utili. Ma se questi creatori non ricevono più visite, visibilità o guadagni, perderanno la motivazione per continuare a produrre. E così, nel lungo — e forse neppure troppo lungo — periodo, sarà anche la qualità dell’intelligenza artificiale a peggiorare, perché si nutrirà di un ecosistema sempre più povero, ripetitivo e autoreferenziale.

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