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Google non integrerà la verifica dei fatti come richiesto dall’UE

Google ha fatto sapere che non intende integrare funzionalità di fact checking nei risultati delle ricerche e nei video YouTube, e nemmeno sfruttare queste funzionalità per rimuovere contenuti non veritieri, nonostante indicazioni previste dall’UE.

Lo riferisce il sito di news americano Axios spiegando che in una lettera inviata a Renate Nikolay, vice direttrice generale responsabile Communications Networks, Content e Technology della Commissione europea, il presidente  global affairs di Google, Kent Walker, ha spiegato che l’integrazione di funzionalità di fact-checking richiesto nel “Codice di buone pratiche sulla disinformazione” della Commissione, “non è semplicemente adeguato o efficace per i nostri servizi” e Big G non intende impegnarsi su questo versante.

“Il codice di buone pratiche rafforzato sulla disinformazione” è stato firmato e presentato il 16 giugno 2022 da 34 firmatari che hanno aderito al processo di revisione del codice del 2018. Da allora si sono aggiunti altri dieci firmatari. Il codice in questione mira a conseguire gli obiettivi degli orientamenti della Commissione presentati nel maggio 2021, stabilendo una gamma più ampia di “impegni e misure per contrastare la disinformazione online”.

Spetta ai firmatari decidere quali impegni sottoscrivere ed è loro responsabilità garantire l’efficacia dell’attuazione dei loro impegni. Aderendo, i firmatati si impegnano ad agire in diversi settori, quali: demonetizzare la diffusione della disinformazione, garantire la trasparenza della pubblicità politica, responsabilizzare gli utenti, rafforzare la cooperazione con valutatori indipendenti e fornire ai ricercatori un migliore accesso ai dati.

Google non integrerà la verifica dei fatti come richiesto dall’UE
Immagine dal sito di UniSR

È l’ennesimo – pessimo – segnale contro il fact-checking: anche Mark Zuckerberg di Meta ha deciso di ridurre la visibilità dei contenuti sottoposti a verifica da Facebook e Instagram, parlando della necessità di “ripristinare la libertà di espressione”, affermando che si tratta di una decisione pensata per “ridurre gli errori”.

In realtà, com’è facile immaginare, il modello di business delle varie piattaforme ha l’obiettivo di esasperare ancora di più le condizioni per cui la disinformazione prospera, alimentando indignazione e odio, sentimenti che alimentano maggiormente il traffico e di conseguenza i profitti di Meta, Google e altri ancora. L’unico antidoto possibile è cancellarsi dai social, oppure comprendere e diffondere consapevolezza sulle modalità di interazione, monetizzazione e su come funzionano realmente i social network.

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