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L’ultima cena del web

Il web sta morendo e nessuno sembra accorgersene. O forse non importa niente a nessuno. Intendiamoci, non è una morte drammatica, con sirene e notiziari flash, ma una trasformazione silenziosa che avviene ogni volta che qualcuno apre ChatGPT Atlas di OpenAI, attiva Gemini in Chrome o lascia che Claude riassuma una pagina invece di leggerla.

È la fine di internet come spazio di esplorazione libera e l’inizio di qualcosa di profondamente diverso: un mondo digitale dove tra noi e la realtà c’è sempre un interprete algoritmico, l’intelligenza artificiale, che decide cosa merita la nostra attenzione.

E la rete vista con gli occhi di un maggiordomo invisibile che decide quali lettere farci leggere e quali cestinare prima ancora che arrivino alla cassetta della posta. Eppure, tutti applaudono questa rivoluzione, affascinati dalla comodità di non dover più cercare, cliccare, leggere. Ma la domanda che nessuno sembra porsi è: chi controlla il maggiordomo? E poi: siamo sicuri che lo vogliamo davvero, questo maggiordomo?

La grande mediazione algoritmica

I nuovi browser “intelligenti” non si limitano più a mostrare pagine web: le interpretano, le riassumono, decidono quali parti sono rilevanti e quali no. Le aprono e le usano loro. OpenAI con Atlas, Google con Gemini integrato in Chrome, Anthropic con le sue estensioni, stanno creando uno strato di mediazione che si frappone tra noi e i contenuti originali.

Con ChatGPT Atlas il browser diventa il tuo assistente e agente - macitynet.it
ChatGPT Atlas

Praticamente è come andare al cinema, sedersi in una stanzetta buia e attendere un signore che viene a raccontarci il film invece di lasciarcelo vedere: comodo forse, ma è ancora cinema? Quando l’AI sintetizza un articolo di mille parole (più o meno come questo) in un paragrafo, cosa si perde nel processo?

Non solo dettagli e sfumature, ma l’intera architettura del pensiero dell’autore, il ritmo della narrazione, le pause significative. Certo, se è scritto male, meglio evitare. Certo, a scommettere sulla pigrizia della gente si vince sempre. Però dobbiamo anche essere consapevoli di una cosa: stiamo barattando la profondità con la velocità, la comprensione con l’efficienza.

E mentre lo facciamo, stiamo anche consegnando a poche grandissime aziende il potere di decidere cosa vale la pena conoscere del mondo. Il paradosso è che questi strumenti nascono per gestire l’overload informativo che gli stessi apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale contribuiscono a creare.

Più contenuti vengono generati dall’AI, più abbiamo bisogno dell’AI per filtrarli, in una spirale che si autoalimenta. Perché ci sono uomini, mezz’uomini, ominicchi e quaquaraquà che, seduti dietro la consolle dell’AI, stanno riempiendo il web di miliardi di articoli acchiappaclick senza senso, fatti a nastro per accaparrarsi l’ultimo navigatore beota rimasto staccato dal gruppo che ormai migra sui riassuntoni fatti dall’AI.

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È il classico serpente che si morde la coda, ma invece di essere un simbolo di eternità diventa un loop di progressiva perdita di senso. I siti web si ottimizzano per essere letti dalle macchine invece che dalle persone, producendo testi vuoti ma perfettamente formattati per l’indicizzazione algoritmica.

Nel frattempo, le persone reali smettono di scrivere perché tanto c’è l’AI che lo fa meglio e più velocemente. Il risultato? Un web popolato da fantasmi digitali che parlano ad altri fantasmi, mentre noi guardiamo attraverso la lente distorta di un browser che ci racconta cosa (secondo lui) sta succedendo, invece di mostrarcelo. Philip K. Dick sarebbe orgoglioso di noi, se gli proponessimo questo soggetto, ma ci direbbe che stiamo esagerando, che la realtà non fa di queste cose, così barocche e freudiane al tempo stesso. Invece sì, a quanto pare.

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L’economia dell’attenzione collassa

La trasformazione dei browser in agenti intelligenti, con l’arrivo di ChatGPT Atlas di OpenAI a mettere l’ultimo chiodo sulla cassa da morto del web, sta demolendo l’economia della rete così come la conosciamo da trent’anni. I siti erano piccoli ecosistemi organici che vivevano di visite, click, tempo di permanenza: metriche umane per comportamenti umani. Ma quando è un agente AI a navigare per noi, estraendo informazioni senza mai “visitare” veramente le pagine, tutto il castello di carte crolla.

I publisher vedono evaporare il traffico mentre le loro informazioni vengono comunque consumate, digerite e rigurgitate dall’AI senza alcun riconoscimento o compenso. È il più grande furto di proprietà intellettuale della storia, ma avviene alla luce del sole e con il consenso entusiasta degli utenti e anche di molti editori, che hanno deciso di partecipare all’abbuffata, usando l’AI per produrre tonnellate di contenuti spesso (anzi, quasi sempre) inutili.

Le implicazioni vanno ben oltre il mero aspetto economico. Quando i creatori di contenuti non possono più sostenersi, smettono di creare. Quando i giornalisti non vengono pagati, smettono di investigare (e, nel caso dei freelance, spesso anche di mangiare). Quando i blogger indipendenti non hanno più lettori, chiudono i loro spazi. Resta solo chi può permettersi di produrre contenuti a perdere, o chi li genera automaticamente a costo zero.

Il web in questo modo diventa un deserto informativo mascherato da oasi, dove tutto sembra abbondante ma nulla ha più sostanza. Un miraggio all’orizzonte: lo raggiungerà solo l’intelligenza artificiale, perché i sentieri sabbiosi saranno costellati degli scheletri degli ingenui naviganti che cercavano delle informazioni. È la realizzazione distopica di un vecchio incubo: un mondo dove tutti parlano ma nessuno ha più niente da dire.

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Claude Opus 4 e Sonnet 4, Anthropic rivoluziona l’AI e il coding

Il futuro è un acquario digitale

Se non l’avete ancora capito, stiamo entrando in un’era dove la nostra esperienza del digitale sarà completamente mediata da intelligenze artificiali che decidono cosa mostrarci, come interpretarlo e quali azioni intraprendere per nostro conto. L’orientamento dell’opinione pubblica non eseguito da un gruppetto di vecchi saggi nascosti nelle profondità delle montagne, ma da un centro di calcolo sferragliante da qualche parte nel cloud.

Non navigheremo più il web: saremo navigati. I browser diventeranno cocoon digitali personalizzati dove ogni informazione è pre-masticata, ogni scelta è suggerita, ogni percorso è ottimizzato secondo parametri che non conosciamo e non controlliamo.

È confortevole come una prigione di velluto, efficiente come una catena di montaggio, e altrettanto disumanizzante. La promessa è quella di liberarci dalla fatica di cercare e scegliere, ma il prezzo è la perdita della serendipità, della scoperta casuale, dell’errore produttivo. E della capacità di cercare, del pensiero critico che nasce e si sviluppa con i muscoli mentali dell’esercizio, della scarsità, della fatica.

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Screenshot

Il web nato come spazio di libertà e creatività anarchica, fatto di community e gruppi alle volte spampanati e alle volte organizzati fin troppo bene, si sta trasformando in un ambiente controllato dove algoritmi sempre più sofisticati decidono cosa possiamo vedere e come dobbiamo interpretarlo.

Non è censura nel senso tradizionale, è qualcosa di più sottile e pervasivo: è orientamento su misura, è la creazione di bolle di realtà personalizzate dove ognuno vive in un universo informativo tagliato sul suo modello mentale, impossibile da confrontare con quello degli altri. Quando due persone cercano la stessa cosa ma ottengono risposte completamente diverse filtrate dalle rispettive AI, chi ha ragione? Quale versione della realtà è quella vera? E soprattutto: chi decide quale algoritmo ha ragione?

Mentre ci illudiamo che l’intelligenza artificiale ci stia rendendo più informati e connessi, in realtà ci sta dolcemente accompagnando verso un futuro dove il web come lo abbiamo conosciuto non esiste più, sostituito da un simulacro gestito da pochi colossi tecnologici che hanno il potere di plasmare la nostra percezione del mondo un prompt alla volta.

Tutte le notizie che parlano di Intelligenza Artificiale sono disponibili a partire da questa pagina di macitynet.

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