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Apple arriva alla WWDC senza AI, ma i guai stanno altrove

La WWDC 25, dove l’AI farà solo capolino in uno scenario in cui per tutti i concorrenti è già una realtà fondante dell’intero business, si apre con l’umore sotto i tacchi: il peggiore degli ultimi dieci anni. Ma non dovrebbe essere il ritardo sull’Intelligenza Artificiale a suscitare inquietudine in casa Apple, bensì tutto ciò che accade in altre regioni del business di Apple.

È questa l’opinione del Wall Street Journal che, come da tradizione della grande testata finanziaria, legge i dati economici dell’azienda di Cupertino e traccia una analisi dello stato di crisi che si intuisce dai corsi azionari di Apple, calati del 20% da inizio anno: il peggior andamento pre-WWDC dal 2010. Questo mentre Microsoft è cresciuta dell’11% e Google (ovvero Alphabet), pur perdendo terreno, ha contenuto la flessione all’8%.

Il vero problema di Apple non è l’AI

Secondo il WSJ gli investitori stanno punendo Apple non tanto per il ritardo sull’AI – che pure pesa nel breve termine – quanto per lo scenario che è cupo e preoccupante.

Uno dei rischi più grandi arriva dai dazi imposti dagli Stati Uniti sui prodotti cinesi, che mettono in crisi il modello di produzione di Apple, basato da due decenni sull’outsourcing asiatico. La pressione politica è diretta e si muove su due fronti. Sul piano interno, colpisce le importazioni erodendo i margini sui dispositivi e nello stesso tempo è sulla graticola normativa per la dipendenza dalla Cina. Sul piano esterno, invece, Apple è ostaggio del governo cinese, che può usarla come leva per esercitare ritorsioni contro gli Stati Uniti.

Parallelamente e in maniera altrettanto preoccupante, l’area servizi – che genera profitti lordi al 74% e vale il 25% del fatturato annuo – è nel mirino dei regolatori. In particolare, il modello delle commissioni dell’App Store vacilla in tutto il mondo. All’interno del cespite di bilancio dei servizi un’intera fonte di profitto – quella che deriva dall’accordo con Google per essere il motore di ricerca predefinito su Safari e che vale circa 20 miliardi l’anno a costo zero – potrebbe cancellata con un solo colpo di spugna dall’Antitrust americano.

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L’iPhone non tira più

Il quadro si complica ulteriormente se si guarda al cuore del business Apple: l’iPhone. Le vendite sono piatte da due anni, e anche per il 2025 si prevede una crescita nulla. Secondo le stime di FactSet, il 2026 potrebbe vedere un incremento del solo 3%. Troppo poco per un’azienda che ha sempre legato le sue performance ad un incremento costante e in doppia cifra anno su anno.

«Per far funzionare il meccanismo servirebbe una nuova ondata di sostituzioni dell’iPhone, ma non la vediamo all’orizzonte», scrive l’analista Laura Martin di Needham, che ha declassato il titolo a “hold”.

Il problema, e qui si torna da capo, è la mancanza di una proposta solida in ambito intelligenza artificiale, che rischia di rendere poco attraente il prossimo ciclo di aggiornamento. Come spiega Needham nel suo documento, il gruppo affronta «rischi rilevanti sulla crescita dei ricavi, sui margini e sulle valutazioni» — un giudizio netto, che riflette lo scetticismo crescente di Wall Street.

La minaccia dell’AI (e del dopo-iPhone)

Il ciclo piatto dell’iPhone non è solo un problema contabile. Per un’azienda che ha ridefinito l’intero mercato degli smartphone, la prospettiva che il prodotto di punta entri in una fase di declino strutturale è una minaccia serissima.

E lo diventa ancora di più se davvero l’intelligenza artificiale generativa dovesse dare vita a una nuova classe di dispositivi capaci di sostituire del tutto il il telefono Apple.

In questo scenario si inserisce l’operazione potenzialmente più pericolosa di tutte: OpenAI ha coinvolto Jony Ive, lo storico designer degli iPhone, degli iPad e dei MacBook, per sviluppare un “AI companion” destinato – nelle intenzioni – a raggiungere il pubblico già nel 2026 e vendere 100 milioni di pezzi al debutto. Questo dispositivo non nasce per sostituire lo smartphone, ma potrebbe trasformarlo  in una sorta di commodity, un oggetto standardizzato e secondario, privo di un valore a sé stante.

Il Wall Street Journal nelle conclusioni mette in guardia dal sottovalutare Apple, che potrebbe avere in serbo delle sorprese, ma ammonisce anche a considerare il fatto che per tornare protagonista dovrà riorganizzare la catena produttiva globale, rispondere con abilità alle sfide legali legate all’App Store e ai pagamenti da parte di Google, e – soprattutto – chiarire quale ruolo vuole giocare nel futuro dell’AI personale.

Tante sfide, forse troppe, da affrontare tutte insieme. Una matassa che costringe a guardare ben oltre il Keynote di oggi, verso un orizzonte ancora avvolto dalla nebbia.

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